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È lo spauracchio di tutti gli armatori, o futuri tali, di una barca costruita in vetroresina.
Tutte le volte che si tira in secco una barca in vtr la prima domanda che si fa al cantiere o all’addetto della gru è ” come la vede? Secondo lei c’è qualche bolla?” In effetti la preoccupazione è di scorgere prima o poi le famigerate bolle e il fatto che non ve ne siano non lascia tranquilli perché non si sa mai se l’anno prossimo ne uscirà qualcuna.
In realtà il problema è molto meno grave di quanto sembra e specialmente adesso con i nuovi prodotti epossidici in commercio l’osmosi è sicuramente un male curabile. Inoltre oramai i cantieri costruttori sono a conoscenza del possibile difetto della vetroresina e si premuniscono in fase di costruzione per prevenire l’insorgere del fenomeno.
Difficilmente una barca costruita di recente si “ammalerà” di osmosi allo scafo.
Il termine osmosi indica la diffusione del solvente attraverso una membrana semipermeabile dal compartimento a maggior potenziale idrico (concentrazione minore di soluto) verso il compartimento a minor potenziale idrico (concentrazione maggiore di soluto), quindi secondo il gradiente di concentrazione.
L’osmosi è un processo fisico spontaneo, vale a dire senza apporto esterno di energia, che tende a diluire la soluzione più concentrata, e a ridurre la differenza di concentrazione. Il flusso netto di solvente può essere contrastato applicando una pressione al compartimento a concentrazione maggiore.
Questo è il modo più ostico per definire l’osmosi, come recita Wikipedia, ma sulla carena di una barca avviene proprio questo, proviamo a spiegarlo più semplicemente:
L’osmosi abbiamo detto è un fenomeno di diffusione tra due liquidi miscibili, di diversa densità, che penetrano attraverso membrane semimpermeabili (la membrana semimpermeabile, in questo caso, è proprio il gel-coat e il laminato della nostra barca).
Il liquido più denso invece si trova nello stratificato della nostra barca come effetto di cattiva lavorazione o catalizzazione, o si crea per idrolisi col passaggio dell’acqua attraverso il gel-coat (idrolisi – scissione di una sostanza per effetto dell’acqua).
Quello più fluido è il mare o il lago che la nostra barca solca e che passa attraverso il gel-coat e va a fare tutti i danni che ben conosciamo.
In alcuni casi, particelle di liquido denso sono già presenti nello stratificato come risultato di lavorazione non corretta tra cui la mancanza della giusta temperatura, l’umidità di lavorazione, le bolle d’aria intrappolate, il basso standard dei materiali impiegati, la non omogeneità tra loro e lo stoccaggio delle materie prime. L’aumento di liquido all’interno dello stratificato (i liquidi non sono comprimibili) si manifesta ai nostri occhi come una piccola protuberanza sulla levigatura della carena.
L’osmosi si manifesta più facilmente in acqua dolce (è più fluida, non contiene sale) e in acque calde.
Un ormeggio vicino a uno scarico di acqua calda evidenzierà prima il problema. Si presenta con piccoli rigonfiamenti, come chicchi di riso appena rilevati, simili a una leggera buccia di arancia.
Col passare del tempo diventano più robusti, aumentano di volume (perché aumenta la pressione interna) e di numero (quelli impercettibili cominciano ad acquistare volume) indebolendo la stratificazione.
Le vie di accesso all’umidità, oltre alla non perfetta impermeabilità del gel-coat, sono anche gli stress e le colpiture che subisce la carena (per esempio quando viene messa in secco e appoggiata male), le prese a mare e gli scarichi sotto la linea di galleggiamento, che in molti casi sono protetti solo da un rigo di silicone e non sigillati per testa. Inoltre, una volta che l’acqua è entrata, il continuo movimento e la fatica della barca in navigazione o all’ormeggio, rende mobili queste microscopiche gocce d’acqua.