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Purtroppo è accaduto!!!
La stupidità umana prevale su qualsiasi sistema elettronico di sicurezza e su qualsiasi accorgimento, tecnologico o sofisticato che sia, inventato proprio per non incorrere in simili incidenti.
La stupidità umana ma anche la rincorsa al consumismo e al profitto perdono sempre quando sfidano incautamente il mare e la Natura e questo non deve essere mai dimenticato. La Concordia purtroppo ne è il pratico e macabro esempio.
Purtroppo però a subire le conseguenze di questa scelleratezza rimangono solo le sfortunate vittime ignare, e l’ambiente. Entrambi fattori estranei a questi folli progetti.
Sono tanti i punti da analizzare su questa tragedia: le responsabilità del comandante che ha provocato il naufragio, la compagnia Costa che come una verginella dichiarava di non sapere nulla, così le Autorità competenti, anch’esse si dichiarano ignare che un bestione da 4000 passeggeri cambi rotta a suo piacimento, gli altri ufficiali in plancia, e poi i soccorsi, l’abbandono nave, il disastro ambientale e tanto altro ancora che contribuisce negativamente a trasformare un incidente seppur molto grave in una tragedia con decine di vittime.
Si perchè analizzando le condizioni meteo e il luogo dell’incidente è possibile ipotizzare il salvataggio dell’intero numero dei passeggeri e dell’equipaggio, tolto forse qualche malcapitato che trovandosi sfortunatamente nell’immediata vicinanza dello squarcio non ha potuto reagire.
Subito d’istinto la prima persona colpita e da colpire è il comandante che ha colpe imperdonabili e dovrà rispondere di imputazioni gravissime, oltre a quelle previste dalla legge anche per come ha tradito la fiducia delle persone trasportate, un comandante dovrebbe infatti prima di tutto considerare la sicurezza della sua nave e dei suoi ospiti prima di intraprendere qualsiasi navigazione o manovra in essa svolta.
Quindi la manovra dell’”inchino”, se proprio doveva essere fatta perchè ormai diventata un rituale, doveva comunque rimanere nei limiti di sicurezza e mai un comandante poteva arrogarsi il diritto di osare, ad insaputa di tutti, una sorta di sfida personale.
Questo è inammissibile e mai nessuna scusante potrà essere discussa a carico di Schettino !
Certo è che la manovra del saluto all’isola era nota a tutti! La mattina stessa del naufragio a Porto Santo Stefano si sapeva in banchina il vero motivo del disastro, compresi dettagli sul comandante gigliese e del comì ormai ben noti a tutti. Quindi risulta ridicolo sentire che la Costa non sapeva niente e ancor più che niente sapevano le Capitanerie.
La manovra veniva non solo autorizzata dalla compagnia ma come dice Schettino era “consigliata” per pubblicità e su questo possiamo credergli. Lo stesso vale per Autorità competenti che monitorano queste grandi navi e possono vedere e seguire per filo e per segno cosa fanno e dove vanno. Quindi tutti sapevano che questa stupida manovra veniva eseguita e tutti tacevano.
Mi sembra gravissimo, conoscendo il comportamento della Capitaneria verso chi si avvicina in genere, con una barchetta, a meno di 300 metri dalla costa, il totale disinteresse verso le manovre ad alto rischio tenute da una mega nave da crociera.
Intervenendo in tempo, alle prime avvisaglie del fuori rotta, la Capitaneria o chi per essa avrebbe impedito alla nave di speronare lo scoglio incriminato. Un intervento esterno di monitoraggio e la possibilità di chiamare la nave per chiedere spiegazioni avrebbe indotto Schettino a modificare la sua folle e sbagliata rotta di collisione. Lo stesso vale per gli ufficiali presenti in plancia di comando che non sono esenti da tale responsabilità.
La responsabilità quindi non è unica e nemmeno di minore entità per questi preposti al controllo della nave.
Un fattore che comunque deve essere tenuto in considerazione è che su una nave, ma genericamente in mare in navigazione, NIENTE è uguale alla terraferma e quindi prima di emettere sentenze in merito va considerato come forse degli atteggiamenti o delle decisioni che a noi “terreni “appaiono assurde o non condivisibili, prese in mare possono avere un senso e una certa efficacia.
In questi giorni la posizione di Schettino sembra prendere una luce diversa, meno scellerata, e se teniamo in considerazione quanto premesso riusciamo ad analizzare meglio il suo operato che forse appare un po meno meno “allucinante”.
A mente fredda è possibile individuare altrettante responsabilità che hanno contribuito a trasformare la tragedia, ad esempio ricostruendo quanto è successo sembra che la Costa abbia indotto alla pratica dell’inchino, così come sembra di capire che subito dopo l’urto la prima persona avvisata sia proprio il responsabile dell’unità di crisi della compagnia e non sappiamo ancora cosa abbia consigliato. Certo non sappiamo bene ma possiamo intuire lo stato di confusione sopraggiunto in plancia di comando e il probabile conseguente panico del comandante e di tutta la plancia, anche se non giustificato.
I fatti sembrano prendere questa via:
la nave parte da Civitavecchia diretta a Savona, alle 21 circa sarà al traverso del Giglio e il comandante pianifica insieme all’addetto alle rotte il piano per passare vicino all’isola. Semplice come sempre, i fondali sono profondi e si può passare vicino, non è la prima volta che succede. La rotta viene tracciata e tutto procede nella normalità, si va a cena e chi è di turno controlla la navigazione. Verso l’ora prevista il comandante lascia la cena e sale in plancia di comando, qui il primo punto da chiarire: il comandante ha bevuto ? Sembra di si, ha una ospite con cui si intrattiene da quando sono partiti, e forse questo contribuisce a forzare la manovra più del solito, ma proseguiamo, in plancia arriva un sacco di gente: il commissario di bordo Giampedroni (l’eroe), il maitre del Giglio, c’è il timoniere Rusli, il primo ufficiale Ambrosio, un secondo ufficiale Ursino, l’allievo di coperta Stefano Iannelli oltre a Silvia Coronika, terzo ufficiale della Concordia e dicono gli ufficiali che l’ambiente era molto “dispersivo”. Fatto è che Schettino prende il timone e conduce la manovra a vista, a un certo punto si accorge, nonostante la rotta stabilita fosse priva di ostacoli, che a prua della nave poco lontano c’è della schiuma. La notte del 13 gennaio è una notte bellissima e nel canale tra Argentario e Giglio c’è una visibilità incredibile, mare piatto che più piatto non si può, luna piena che illumina mare e isola meglio che di giorno. E la schiuma davanti alla nave, leggermente a sinistra, non può essere altro che un pericolo! Schettino si allarma e provoca una manovra, che ancora non sappiamo bene, ma lui stesso dice probabile causa dell’urto. Un’accostata a dritta molto decisa per allontanare la nave dal pericolo, ma sappiamo bene che sull’acqua non è come in macchina e se la prua va a destra, la poppa, 300 metri dietro, va a sinistra ! E qui il secondo punto da chiarire è: sarebbe passata la nave se avesse continuato dritta sulla sua rotta, seppur vicinissima forse sicura? Il punto di impatto suggerisce proprio che l’accostata sia stata la causa della collisione e anche Schettino si interroga su questo punto, si arrovella se la manovra sia stata la causa dell’impatto oppure grazie a quella sia riuscito a sfuggire alla collisione piena. Difficile dirlo, certo un dilemma che accompagnerà per sempre quest’uomo.
Ma la cosa certa è che lo scoglio preso, segnalato come isola, è praticamente attaccato a terra, quindi non necessita di segnalazione propria. Nessuna rotta può passare di li, nemmeno quella di un gommone, e questo lo sappiamo bene noi del posto che andiamo a fare il bagno tra quei massi, la nave non doveva trovarsi così vicina perchè parliamo di decine di metri e non centinaia come anche il più azzardato degli inchini avrebbe potuto essere.
Ecco il grave errore di Schettino: non il bere, il pavoneggiarsi, l’accostata, o tutto quello che si vuole dire, ma solo il fatto che lui con la sua nave non doveva passare vicino a terra in quell’azzardo. Una nave del genere anche se passa a 500 metri da costa provoca già l’effetto che serve, è gigantesca e la proporzione parla da sola, l’effetto speciale è garantito per tutti. Non puoi fare una cosa del genere, uomo di mare non fa queste cose !! Lui sostiene di essere stato spinto a fare quello che ha fatto e possiamo anche credergli ma rimane il fatto che un Comandante non si presta a questo tipo di tentazioni. Un comandante tutto d’un pezzo avrebbe comunque sostenuto la sua posizione d’autorità accontentando si gli “amici” ma non concedendo loro più di quanto da lui ritenuto indispensabile e sicuro.
Avviene la collisione. Immaginiamo cosa succede in plancia: prima di tutto Schettino spera che la cosa non sia grave, è normale e umano, poi dall’alto della plancia tutto è distante e attutito, chiede quindi l’entità dei danni anche se subito può intuire la gravità visto che i motori della nave si spengono. Lui sostiene che in quel momento pensa a come far manovrare la nave e mantenerne il controllo. Passano i minuti e arriva il verdetto che la nave si sta allagando velocemente. La nave è alla deriva e rallenta.
Schettino dice di essere stato impegnato a calcolare dati sulla stabilità della nave, perchè sapeva bene quali fattori determinano la sua stabilità.
Ma qui di seguito riporto un estratto degli interrogatori che rende bene l’idea di come siano andate le cose: dal Tirreno.it – ” Francesco Schettino non dava ordini. Mentre la Costa Concordia si inclinava sempre di più dopo aver perso velocità a causa dei gravissimi danni causati dall’impatto con lo scoglio delle Scole, gli ufficiali si chiedevano perché il comandante tergiversasse. Nei verbali delle testimonianze rese subito dopo l’incidente dagli ufficiali della nave – che siamo in grado di pubblicare – emerge una chiara incapacità di Schettino di far fronte all’emergenza, anche se durante l’interrogatorio il comandante ha rivendicato il merito della manovra che ha portato la nave davanti al porto del Giglio per evitare una sciagura ancora più grave.
Non l’avevo visto. Dice Martino Pellegrini, ufficiale della sicurezza: «Ho sentito il comandante dire testualmente “c…, non l’avevo visto”, dopo di che ho chiesto al comandante in seconda Bosio Roberto, se volesse che io scendessi giù in macchina a controllare la situazione. Ma lui mi ha detto di non preoccuparmi perché aveva già inviato il primo ufficiale Iaccarino e l’altro comandante in seconda Christidis». Erano le 21,48. Dalla sala macchine veniva riferito l’ingresso di acqua. E il comandante? «In quel frangente il comandante si è lasciato andare ad esclamazioni di preoccupazione per avere fatto finire la nave sugli scogli e per le conseguenze sul suo lavoro. Mi è sembrato alterato e andava peggiorando. Gli tremava la voce».
Soli nelle decisioni. Gli altri ufficiali si preoccupano. «Bongiovanni, Canessa e io eravamo concordi sulla necessità di andare avanti con le fasi dell’emergenza e dichiarare l’emergenza generale – aggiunge Pellegrini riferendosi ai colleghi – Ma il comandante non appariva comprendere la gravità della situazione. Quando abbiamo ricevuto la comunicazione che l’acqua era arrivata al ponte delle paratìe stagne, il comandante ha chiesto il numero di telefono del comandante di un rimorchiatore. Io e Scarpato ci siamo guardati con fare interrogativo dopo aver annotato questo numero ma eravamo convinti che non fosse al momento l’azione prioritaria da compiere. Ho chiesto al comandante che disposizione dare a Borghero e agli altri ma lui mi ha guardato con espressione assente, e non mi ha dato risposta».
L’ho preso per un braccio. «Sono stato io a dirgli di evacuare – dice Pellegrini – Visto che anche il comandate in seconda Christidis non aveva ancora manifestato l’intenzione di sollecitare il comandante, ho attirato la sua attenzione afferrandolo per un braccio e gli ho detto “k2, gli dica che dobbiamo andare avanti con l’emergenza”. Lui ha concordato e ha chiesto al comandante di dichiarare l’emergenza generale. Solo a questo punto Schettino ha annuito dicendo “andiamo avanti”, allineandosi quindi con il nostro intendimento. Ho confermato a Bongiovanni di premere il pulsante e dare l’allarme». Perché prima, dice lo stesso Bongiovanni, «Schettino non voleva dare il segnale di emergenza generale come noi ufficiali ritenevamo fosse il caso. Io ero con il dito pronto sul pulsante ma il comandante ha disposto di attendere».
Sala macchine allagata. Eppure la situazione era drammatica già da tempo. Ha detto Giuseppe Pilon, direttore di macchina: «Ho sentito una sbandamento. Il tempo di andare in centrale e il terzo ufficiale Di Piazza, che era in sala macchine, mi ha detto “c’è acqua, c’è acqua”. Il tempo di controllare che tutte le porta stagne fossero chiuse e il black out è stato totale. Si è spento tutto». Poi Pilon ha aperto la porta della centrale e quella della sala macchine: «l’acqua era già al ponte 0, è arrivata al quadro elettrico e sono saltate le unità di potenza di riserva che consentono di far partire il diesel di emergenza», poi fatto partire manualmente. «Ho dato la situazione al comandante Schettino» e «gli ho detto che avevamo perso il controllo della nave».
Distratto in plancia. Silvia Coronika, terzo ufficiale, segnala «il numero di persone presenti sul ponte di comando, salite con Schettino, non preposte a servizi relativi alla condotta della navigazione, tra cui l’hotel director che chiedeva che isola era, il maitre che chiacchierava, insomma disturbavano le manovre con un conseguente calo di attenzione». L’ufficiale triestina parla dell’inchino, come anche la guardia in macchina Alberto Fiorito. Ma di Domnica Cermotan, la ballerina sentita mercoledì scorso a Marina di Grosseto, parla però solo Manrico Giampedroni, l’hotel director dimesso l’altro giorno dal Misericordia: «C’era una ragazza moldava-rumena, tale Domenica».
Le telefonate da bordo. Chiede il dottor Pizza: è possibile che Ferrarini abbia dato disposizioni al comandante di non lanciare immediatamente l’allarme alla guardia costiera? Risponde Pellegrini: «Non lo credo. Non ho sentito alcun commento del comandante in tal senso. E comunque conoscendo Ferrarini, non credo che potesse mai dare una disposizione del genere». Quando a Bongiovanni viene chiesto di riferire su altre comunicazioni, l’ufficiale risponde: «Finché sono rimasto io sul ponte sono certo che non è stata fatta alcuna comunicazione all’autorità marittima o ad altre autorità riferendo della reale situazione di emergenza, almeno fino al momento del lancio del segnale di distress di soccorso, attivando il pulsante previsto». Quando la capitaneria di porto di Civitavecchia chiedeva se vi fossero problemi a bordo, il comandante aveva detto di riferire “solo un blackout”. «Alla domanda se avessimo bisogno di assistenza diceva: “al momento no”, riferisce Coronika.
L’evacuazione. Tutti gli ufficiali e membri dell’equipaggio parlano dei momenti relativi all’abbandono e delle modalità operative per favorire il salvataggio dei passeggeri. Ne parla Fiorito: «Al ponte 3 si era già a pelo di acqua. Ho visto arrivare il nostromo con la lancia e mi si è aperto il cuore perché ho capito che ero salvo». Ne parla anche il comandante in seconda Dimitrios Christidis: «Ho avvisato il comandante che sarei sceso al ponte 4 per mettere in atto i suoi ordini per l’abbandono della nave: in quel momento il ponte 4 si stava immergendo per cui non c’era più tempo di approntare le zattere: ho spinto tutti i passeggeri a tuffarsi in acqua per raggiungere la scogliera. Pur non avendo il giubbotto salvagente, anche io mi sono tuffato e aiutato i naufraghi» insieme a colleghi.
Schettino all’asciutto. «Sulla scogliera c’era già il comandante che stava guardando la nave che continuava a inclinarsi». Lui, continua l’ufficiale greco, “«non si presentava bagnato e stava parlando al telefono con la società». Aggiunge Bongiovanni: «Nel momento in cui ho incontrato il comandante in porto vi erano ancora circa 200 persone tra passeggeri ed equipaggio a bordo: dunque il comandante non ha lasciato per ultimo la nave».
Il ritardo. Con maggiore o minore precisione, riferendo orari esatti oppure solo indicativi, i componenti dell’equipaggio parlano della sequenza degli allarmi fatti partire dalla plancia. Ma c’è una frase che ha colpito i pm. Quella del primo ufficiale di macchina Petar Petrov, bulgaro, che parla in inglese tradotto dal comandante del circomare di Porto S. Stefano, Giorgia Capozzella: «Il segnale di abbandono nave, secondo me, è stato dato troppo tardi, perché c’era una falla molto grande ed entrava molta acqua. In un primo momento la barca ha incominciato a inclinarsi molto lentamente. Quindi sarebbe stato quello il momento in cui andavano calate le scialuppe (ha collaborato Donatella Francesconi) “
In effetti ecco due foto scattate a poche ore di distanza, quelle di notte a incaglio appena avvenuto, e quelle del giorno dopo. Fanno sicuramente pensare che il tempo trascorso in quei momenti sia stato prezioso per mettere in salvo le persone e che se “qualcuno” ha perso tempo, magari pensando a salvare la propria esclusiva posizione, sia in effetti responsabile della morte delle vittime.